A cura di P. Cavanna, Edizioni Fondazione Torino, 2006, pp. 269.ISBN 88-88103-44-9Euro 35,00
Tessendo una fitta rete di legami fra fotografia, pittura e storia delle istituzioni civiche torinesi a cavallo fra Otto e Novecento, Cavanna offre un notevole contributo alla definizione del ruolo preminente esercitato da Avondo nel coevo ambito culturale e, rivolgendo un’attenzione particolare ad indagare anche la sua figura di pittore e disegnatore, attribuisce nuove coordinate di lettura e di interpretazione a quella svolta epocale che intorno alla metà circa dell’Ottocento, portò, con l’aiuto determinante della fotografia, alla definitiva morte del paesaggio ideale e alla nascita del paesaggio in accezione moderna e contemporanea.
Elemento di raccordo fra tanti elementi storici ed espressivi è giocato dal carattere linguistico della fotografia, ossia dalla sua capacità di mantenersi sempre in equilibrio instabile fra documentazione del vero e sua interpretazione formale, poli che, nella loro peculiarità di indice e di icona, hanno reso possibile ad Avondo studioso, di ricorrere al mezzo quale prezioso strumento di indagine storico artistica, di conoscenza, di valorizzazione e di tutela delle collezioni torinesi del Museo Civico, di cui fu direttore dal 1890 al 1910, ma anche, in qualità di artista, di utilizzarne i prodotti quale fonte ispiratrice del proprio fare pittorico.
L’angolo di visuale scelto, che pone al centro dell’interesse gli inediti processi percettivi della conoscenza dischiusi dall’avvento della fotografia, consente inoltre a Cavanna di inserire la storia della fotografia nella storia tout court; egli certo non relega il mezzo nella separatezza afona di una tecnologia avulsa dal proprio contesto, lo riconosce piuttosto come scrittura particolare, capace di contribuire alla definizione culturale di un’epoca, meglio di un periodo storico di lunga durata, com’è quello della meccanizzazione della produzione dell’immagine.
L’unità collezionistica del fondo fotografico Avondo è stata sapientemente ricostruita da Cavanna grazie ad una ricostruzione attenta della biografia e degli interessi di Avondo, elementi sfruttati per individuare, con sufficiente e convincente approssimazione, fotografie e gruppi di fotografie che, eseguite prima o durante il ventennio della direzione Avondo al Museo Civico (1890-1910), sono chiaramente riferibili, per i loro soggetti e la relativa cronologia, alle pubblicazioni sull’arte piemontese promosse dallo studioso, alle iniziative culturali cui egli prese parte, al grande progetto e alla successiva realizzazione del restauro integrale, e filologicamentre condotto, del castello di Issogne.
Completa l’imponente corpus avondoniano, un importantissimo fondo di immagini paesaggistiche della Campagna Romana, realizzate in calotipia da autori vari negli anni Cinquanta del XIX secolo giustamente riferito da Cavanna ad Avondo per l’innegabile ‘genealogia culturale’ che lega queste fotografie ai dipinti e ai disegni di Avondo degli anni romani.
Si tratta di trentasette carte salate, del tutto inedite, attribuite in prevalenza da Cavanna alla mano di Giacomo Caneva ed acquistate da Avondo durante il suo soggiorno a Roma, databile fra il 1856 e il 1861.
Come è avvenuto con Aaron Scharf che già nel 1968 aveva individuato alla base del cambiamento di stile di Corot, la suggestione offerta dalla coeva fotografia francese di paesaggio, così Cavanna riconnette ora l’improvviso cambiamento stilistico di Avondo al ruolo determinante giocato dalla fotografia romana di paesaggio, in particolare per la resa aerea e sfumata dei vicini, raffigurati come lontani, per la riduzione dei mezzi espressivi e per il generale verismo rappresentativo.
Ovviamente all’analisi stilistica è sempre accompagnata una serie di osservazioni storiche fra le quali spicca il riferimento all’incontro di Avondo con la pittura naturalistico romantica dei pittori di Barbizon, anch’essi, si può aggiungere, fortemente influenzati dalla contemporanea fotografia di paesaggio fra i cui rappresentanti Cavanna ricorda Le Gray, Le Secq, Marville e Vigier.
Di ritorno dall’Esposizione di Parigi 1855, Avondo, come riporta Thovez, esprime tutta la propria esaltazione emotiva per i paesaggi esposti ed improntati ad un aperto cambiamento di rotta della pittura che, proprio allora, con una frattura violenta e senza ritorno, accoglieva le istanze naturalistiche suggerite dalla fotografia, se non altro con la propria attenzione agli aspetti di una quotidianità casuale e contingente, effimera e discontinua, metereologicamente variegata, colta nell’irripetibile particolarità percettiva di un attimo fuggente.
Chiudono il volume una relazione di Silvia Berselli sull’avvenuto restauro conservativo del fondo ed un’intensa campagna catalografica, sempre di Cavanna, affidata ad un Regesto e Catalogo ragionato delle immagini, scelte come emblematiche della natura del fondo e, pertanto, riprodotte per un più facile accesso ai discorsi generali affrontati nel saggio di apertura.
Nessun commento:
Posta un commento