domenica 30 settembre 2007

Viaggio in un paesaggio terrestre

di Vittore Fossati, Giorgio Messori; Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2007, 138 pp., € 18,00 ISBN 978-88-8103-457-4


Diabasis finalmente pubblica l’esito di questa avventura dello spirito avviata da Fossati e Messori ormai dieci anni or sono e proseguita per altri cinque, accompagnandosi ma soprattutto facendosi attrarre “da poeti e pittori che avevano messo il paesaggio, e l’arte di rappresentarlo, in un punto vitale della loro opera e dei loro pensieri.”

Non tanto un viaggio d’istruzione però, come i due vorrebbero modestamente far intendere, ma un percorso di raffinata verifica, amabilmente condotta per il tramite del confronto diretto coi luoghi e le loro rappresentazioni, ricorrendo ciascuno al proprio specifico taccuino ma specialmente confidando nel loro dialogo fitto e continuo, così che alla fine “molte cose scritte nascono dal fotografo, e alcune inquadrature sono state magari suggerite dallo scrittore.” Ciò che ne è risultato non è una ricognizione fotografica accompagnata da un testo, come accadeva ad esempio per Gianni Celati con Luigi Ghirri, certo tra i riferimenti affettivi e generazionali dei due autori, quanto semmai uno sviluppo del modello messo a punto da Strand e Zavattini (Un paese, Torino, Einaudi, 1955; nuova ed. Firenze - New York, Alinari - Aperture, 1997) dove il legame allora già stretto tra parola e immagine si fa qui imprescindibile e fondante. Siamo ora in presenza di due coautori distinti non di due autori diversi, e per questo risulta difficile concordare con Marco Belpoliti (”Alias”, 9-6-2007: 18) quando afferma che “La voce di Fossati nel libro non c’è – poiché è stato scritto da Messori – ma ci sono i suoi sguardi e ciò che di questi sguardi ci dice lo scrittore”, come se la sola mediazione possibile fosse la parola. Sin troppo facile sarebbe ribaltare la direzione di questa lettura per rivendicare una prevalenza del fotografico; non si darebbe con ciò ragione dell’esito di questo progetto, per il quale è più utile ricorrere alla definizione di “iconotesto” così come è stata messa a punto in area francese (Alain Montandon,a cura di, Iconotextes, Actes du colloque international tenu à l' Université Blaise Pascal, Clermont-Ferrand, 17-19 mars 1988, Paris, CRCD Clermont-Ferrand, Ophrys, 1990; nuova ed. 2002) e utilizzata recentemente ad esempio da Michele Vangi (Letteratura e fotografia, Pasian di Prato, Campanotto Editore, 2005) a proposito – tra gli altri – di W.G. Sebald, con cui Messori condivideva una affettuosa ammirazione per Robert Walser, per quel suo sguardo stupito sull’incanto del mondo, di ogni porzione di mondo, che è anche una delle qualità migliori dei nostri due autori, forse la consonanza segreta che ha fatto crescere negli anni un’amicizia profonda, nata sotto il segno di Ghirri.

Questo “libro illustrato, qualcosa che si può seguire leggendo e guardando” è lo spazio di riflessione offerto da Fossati e Messori, che hanno concepito l’opera sulla permeabilità dei due mezzi espressivi come sulla ricchezza della loro corrispondenza inesausta, senza rifiutare il modello domestico degli album ricordo. Non è solo l’insistenza affettuosa dello sguardo però a dar corpo a queste osservazioni incrociate, a far affiorare una malinconia che è stupita e precisa a un tempo, traducendosi in meticolose osservazioni, attraversata dalla memoria di parole e figure depositate nel tempo da una scelta compagnia di viandanti, di cui si dà conto in un atlante degli affetti pudicamente camuffato da Nota bibliografica, a chiusura del volume.
Con loro si muovono nella ineludibile corporalità del “paesaggio terrestre”; non per verificare un dato di realtà però, quanto piuttosto per saggiare la possibilità e la tenuta delle sue rappresentazioni, nella convinzione – condivisibile, ovvio – che la visione non può che essere “sempre il ricrearsi di un visibile”. Per questo credo si sono mossi alla ricerca di un tempo inattuale (ma non “perduto”) con un agire da archeologi dello sguardo intenti a rilevare in situ le ragioni delle inquadrature di Courbet come dei motivi di Cézanne, a indagare la profondità e le stratificazioni di un’idea, riconoscendo infine che la sola cosa visibile è un simulacro. Inevitabile e necessario però, perché “abbiamo bisogno di nomi, di luoghi immaginati e immagini che altri ci hanno regalato, nomi e immagini che possono condurci altrove (…) solo per sperare di riconoscere nel mondo un luogo a cui volere ancora appartenere.”

Indice del volume

09 Premessa
13 Paesaggio terrestre attorno a Villa Minozzo
29 Finestre in Engadina
39 Non è ancora buio
55 La via di Tetrarca
73 Le cave, la città
89 I motivi di Cézanne
101 Il cielo a Delft
111 Eldena
125 A Capri
135 Indice delle illustrazioni
137 Nota bibliografica

Pierangelo Cavanna

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