sabato 29 settembre 2007

Scultura e fotografia in Brancusi

A cura di Paola Mola, L’opera al bianco, cat. della mostra (Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, 19 febbraio – 22 maggio 2005), Milano, Skira, 2005, pp. 185.ISBN 88-7624-304-6

La mostra L’opera al bianco, curata da Paola Mola e Marielle Tabart – conservatrice dell’Atelier Brancusi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne de Paris - , tenutasi alla Collezione Peggy Guggenheim a Venezia nel 2005 (19 febbraio – 22 maggio, catalogo a cura di P. Mola), ha proposto per la prima volta al pubblico italiano un’ampia rassegna interamente dedicata al rapporto di Brancusi con la fotografia.

Da tempo sui percorsi della scultura tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, soprattutto attraverso l’opera di Medardo Rosso, Wildt e poi Brancusi, studiati e indagati a più riprese, Paola Mola, storica dell’arte, riformula in questa occasione suggestioni e pensieri sulle fotografie di Brancusi - già in parte tracciati in alcuni suoi scritti precedenti, come in P. Mola (a cura di), Constantin Brancusi. Aforismi, (Milano, Abscondita, 2001); P. Mola, Brancusi. Indicazioni sull’opera leggera (Milano, Scalpendi, 2003); P. Mola, Relativamente a Brancusi. Con uno scritto di Vasile G. Paleolog e una fotografia (Comune di Milano, Biblioteca d’Arte – Castello Sforzesco, 2003) - proponendo un’indagine a tutto campo sull’intero fondo fotografico legato da Brancusi al Musée National d’Art Moderne de Paris.
L’opera al bianco è “il sintagma alchemico per la trasmutazione in argento”, si dice nella prefazione, nel richiamo esplicito al sapere esoterico che vuole ricondurre l'operare fotografico di Brancusi ad ambiti magici e arcaici così come arcaico e simbolico è il suo universo, sapientemente ricostruito da Mola nel collocare il rapporto con la fotografia all’interno di percorsi creativi e di pensiero, e, in definitiva, di una poetica. Classicità, ellenismo, mitologia - nel legame ancestrale che l’artista conserva con le terre d’origine - sono riferimenti essenziali, studiati da Mola per poi meglio configurare la presenza di Brancusi nel milieu parigino, dal 1904, anno dell’arrivo nella capitale francese, fino al 1957, anno della morte. La riflessione condotta da Mola non si colloca quindi esclusivamente su un piano linguistico – strutturale, ma in senso interdisciplinare indaga vicinanze e assonanze tra fotografia e scultura, ben presenti l’una all’altra senza radicali conflittualità, come è noto, sin dalle origini della fotografia – si vedano, tra i possibili riferimenti, i testi: R. M. Mason (a cura di), Pygmalion photographe. La sculpture devant la caméra. 1844 – 1936, catalogo della mostra (Cabinet des Estampes, Musée d’Art et d’Histoire, Genève, 28 giugno - 3 settembre 1985); AA.VV., Photographie/sculpture, catalogo della mostra, (Palais de Tokyo, Paris, 21 novembre 1991- 4 aprile 1992, Paris, Centre National de la Photographie, 1991) – diversamente da quanto accadde, invece, per fotografia e pittura–, anche attraverso l’analisi delle fonti e dei riferimenti culturali, in prospettiva costantemente diacronica e sincronica.
Ma come Brancusi lavorò con la fotografia? In una prima fase concepì le fotografie come documenti delle proprie opere, finalizzate soprattutto alla promozione e alla vendita. Ben presto, però, è evidente come la fotografia trasmigri per lui verso più complessi significati e tensioni sperimentali, diventando “materia” con cui confrontarsi direttamente – costruendosi una camera oscura nell’atelier, lavorando con diversi apparecchi e formati – così come direttamente Brancusi si confronta con la materia delle sue sculture e, da solo – senza delegare ad assistenti, ribadendo in senso modernista l’importanza dell’azione diretta, in forte polemica con l’Accademia – intaglia marmo e legno, fonde bronzi, modella gessi, lavora con la fotografia su più fronti: nella regia delle inquadrature e delle scene costruite nell’atelier, con le “materie”, emulsioni, agenti chimici, supporti. “… Brancusi non voleva buone fotografie, cercava la somiglianza […] non cercava un’identità impossibile della pietra o del metallo con l’immagine fotografica. La sua era la costruzione di un altro ultrasottile e commensurabile con il primo. Qualcosa che potesse accogliere il trapianto senza rigettarlo, un somigliante appunto.” dice Paola Mola (pp. 17 –18), mutuando anche parole e concetti da uno tra i più assidui frequentatori di Brancusi, Duchamp. E ancora “…un somigliante […]. Attraversato dalla stessa origine, vivo nell’incertezza dei contorni[…]. Non sono a fuoco le figure della mente. L’immagine mossa, ‘mal fatta’, stabilisce con chi guarda una più stretta relazione…” (p.18). A Man Ray infatti Brancusi dirà, dopo che l’amico aveva osservato che le sue erano “brutte” fotografie, sfuocate, graffiate (ad hoc naturalmente), stampate con macchie, sovraesposte o sottoesposte, che queste dovevano essere così e così dovevano essere visti i suoi lavori.
La mostra proponeva un excursus in “sette stanze più una” – sottesa è anche qui, un'arcaica simbologia numerica, l’ogdoade…- con le fotografie originali (circa 90) accostate, per tematiche e suggestioni, anche a gessi e bronzi politi, per procedere dall’immagine all’oggetto e viceversa.
Nelle fotografie l’atelier diviene teatro di una messa in scena (prima e terza stanza), wunderkammer (“grotto delle meraviglie”, come lui stesso chiamava curiosamente in italiano il suo studio) in cui le sculture mutano di collocazione, di illuminazione, volta per volta riprese da diversi punti di vista, avvicinate (cat. nn.12, 13), a sottolinearne i rapporti di senso, o isolate, a farne personaggi su basi scolpite - loro stesse personaggi (Il neonato II, cat. n. 10) -, indagati tra luci, riflessi e ombre (Il pesce, cat.nn.40, 41, 43; L’uccello nello spazio, cat nn. 44, 45). Ombre che mutano i rapporti percettivi, da concavo a convesso e viceversa, o che portano a duplicare l’oggetto, su un fondo o su un muro, passando dal tridimensionale al bidimensionale (Socrate, cat. n.9).
Fotografie, in rapporto alle sculture, paragonate in modo pregnante da Mola ai gessi (seconda stanza) che, per Brancusi, sono opere finite, mai modelli o bozzetti, solo talvolta calchi di opere vendute e collocati al loro posto nell’atelier. Gessi, nella rielaborazione di un tema, che sono tappe di un percorso. La Musa addormentata e il Torso d’adolescente, per esempio, sono gessi, dopo il legno e il bronzo e prima della fotografia. Come i gessi, la fotografia non è modello, ma tappa intermedia di un processo creativo, che viene spesso dopo una scultura e prima di un’altra, ed ha valore conoscitivo, è meditazione su un tema, ripreso continuamente nel tempo e talvolta, come dice Mola, diviene, dopo le sculture, compimento del percorso, opera finita (“Brancusi finisce di modellare con la luce sul vetro del negativo e poi sulla carta…”, Indicazioni.., cit. p. 20). E qui sta l’intuizione di Mola nell’individuare il parallelismo gesso/fotografia anche attraverso il diverso ruolo che il gesso assume in Brancusi rispetto alla prassi accademica, che meglio però è precisato, rispetto al presente catalogo, nel suo Indicazioni…, cit., nel paragrafo Eídola. Sul gesso e la fotografia, pp. 15 – 16: “E tuttavia la questione del gesso presenta altri differenti aspetti che non trovano spiegazione all’interno di un legame di continuità con la prassi tradizionale. Aspetti che hanno rispondenza e complemento nella fotografia. L’altra parte dell’opera di cui Brancusi non parla: come il gesso, impronta, e segno, senza distanza della materia sulla materia”. È evidente, anche se non dichiarato, il riferimento alle note teorie che rilevano nella fotografia un segno indicale (Peirce, Krauss…) nel rilevare il rapporto di assoluta contiguità fisica con la materia, l’oggetto, che sia il gesso, come calco, che la fotografia implicano; “…di cui Brancusi non parla”, si dice, rispetto al fatto che effettivamente egli non menzionò mai i suoi lavori fotografici, se non per dire significativamente un’unica volta, rispetto al discorso critico sulle sue opere, “perché scrivere? Perché non mostrare unicamente le fotografie?”(R. Payne, Constantin Brancusi, in “World Review”, 8, 1949, p. 63, cit. in Indicazioni…, cit., nota 15, p.28).
La fotografia per Brancusi assumerà sempre più carattere di ricerca sperimentale e autonoma a partire dagli anni venti. Le prime fotografie risalgono agli anni in cui egli frequenta la Scuola Nazionale di Belle Arti a Bucarest (1900 – 1901, L’ecorché), mentre dal 1905 circa (dal 1904 è a Parigi) stampa su cartoline fotografie di opere per esposizioni o per la vendita. È dal 1907, tuttavia, che inizia una fitta trama di rapporti grazie alla quale artisti, scrittori, musicisti e i maggiori fotografi del periodo diventano frequentazioni quotidiane. È in quell’anno che conosce Steichen presso lo studio di Rodin, a Meudon, dove era stato accolto come praticante. Steichen che frequenterà a lungo, che comprerà, tra i primi, alcune opere sue (Maiastra, L’uccello nello spazio) e che, nel 1914, insieme ad Alfred Stieglitz, organizzerà la sua prima mostra personale alla Photo Secession Gallery di New York (di cui “Camera Work” nel 1916 pubblica un’immagine, scattata da Stieglitz), iniziandone la fortuna in America. Steichen, nel cui giardino a Voulangis Brancusi intaglia da un albero la Colonna senza fine, alta sette metri (altro numero simbolico…) e alzata sul posto, tema di continua meditazione (la Colonna senza fine è axis mundi e “negazione del Labirinto”, come dirà in uno dei suoi celebri Aforismi), rivissuto anche fotograficamente in una serie di immagini (seconda stanza) in cui la Colonna è vista dal basso, in diagonale, controluce (cat. nn. 23-26; 30-32), denunciando ormai quell’interesse sperimentale verso il mezzo che certamente l’incontro con Man Ray, avvenuto nel 1921, aveva contribuito a suscitare. Man Ray che sarà per lui fondamentale anche perchè lo introdurrà a tutte le questioni tecniche relative alla fotografia ma anche al film e ai fotogrammi. La serie sul Prometeo (cat. nn. 52 – 58, quarta stanza) degli anni venti è emblematica della sperimentazione con la luce che, proveniente da diversi punti, scorre sull’oggetto e ne modula la superficie provocando continui spostamenti percettivi, così come nella sequenza sull’Uccello nello spazio (cat. nn. 75 -77, quinta stanza) una losanga (forma che ritorna nella Colonna..) di luce è fatta scorrere sull’oggetto posto contro un fondale di tela nera. Sono anni in cui la rete dei rapporti si infittisce e Brancusi concede che sue fotografie siano pubblicate (Ezra Pound su “The Little review” nel 1921 ne pubblica 24, Laszlo Moholy Nagy ne pubblica 7 nel suo Von Materiel zu Architektur, Bauhausbücher n. 14, 1929). Conosce inoltre Duchamp, che organizzerà per lui mostre negli Stati Uniti, Outerbridge, Brassaï, Bill Brandt, Eli Lothar, Immogen Cunningham, Kertész, Sheeler, che riprenderà, tra i pochi, il suo atelier, pubblicando le fotografie su “The Arts”, nel luglio 1923. E poi ancora Arp, Ezra Pound, Joyce, Picabia, Léger.
Molti e fecondi furono quindi i rapporti che Brancusi intrattenne con artisti e fotografi, come si sottolinea nel catalogo, anche se sarebbe stato auspicabile un maggior approfondimento, volto a ricostruire trame, intrecci, relazioni, anche attraverso apporti documentari. Così come rimane un po’ sospesa e ai margini l’ “altra” fotografia di Brancusi, quella non dedicata alle sue sculture. Nella settima stanza trovano posto istantanee sul volo di uccelli, riprese su “materie” in trasformazione (la muffa di una bacinella), fino a forme astratte, evanescenti, come nel suo Autoritratto. Un’altra produzione, fortemente sperimentale così come lo furono i film da cui spesso isolava fotogrammi, poi stampati come singole fotografie (come fece anche per il film girato da Man Ray per un suo ritratto). Brancusi inizia a lavorare con la cinepresa nel 1929, l’anno dell’esposizione di Stoccarda “Film und Foto”, cui molti suoi amici partecipano. Basti citare, tra gli altri, il film sulla Leda, del 1936, dove una sua opera, già ampiamente “vista” fotograficamente, viene ora ripresa in rotazione, secondo quel desiderio del “non ancora visto” che motiva la sua continua volontà sperimentale.
Il pregio dello studio di Mola sul rapporto di Brancusi con la fotografia è, potremmo dire in conclusione, l’apertura di uno spazio logico, mentale, in cui il discorso sulla fotografia si apre in molteplici direzioni, indagando intersezioni e rapporti, spostandosi da un contesto di riferimento a un altro, dai problemi della scultura al contesto culturale, alle sperimentazioni con la fotografia e i film, in tal modo consentendo inedite prospettive e punti di vista, per ricondurre infine ad unità gli elementi di una poetica. Una storia di fotografie che parte da un altrove, attraverso la scultura, per ricomprendersi e narrarsi.

Silvia Paoli

4 commenti:

Anonimo ha detto...

vive in sicilia il più grande artista poliedrico dopo leonardo da vinci. la sua ultima grande intuizione applicata nella scultura-il-metaprospettivismo. anche se il mondo non lo conose ancora merita grande attenzione .....visiona www.pieromaffei.com un breve escursus di esperienze e le sculture metaprospettiche visionalo.....................

Anonimo ha detto...

Ho incontrato Pietro Angelo maffei a New yorc esattamente ad Albani durante una sua vernissage di scultura e pittura,personaggio misterioso, fuori da ogni schema,accademia o corte....questo don chisciotte..ciranesco del xxi secolo ha racchiuso nelle sue creazioni la totale sintesi di molteplici sfaccettature di questo complicato secolo.I concetti contenuti nella sua nuova corrente di pensiero,sono destinati a condizionare secoli di produzione artistica mondiale...Lidia Baazar

Anonimo ha detto...

Cenni biografici diP:A:MAFFEI
P:A:Maffei nasce a Catania il07/08/1952,conseguita la maturità artistica frequenta dal 72 al 77 studi di Architettura presso la facoltà di Firenze.
la produzione artistica di questo periodo,propone una sorta di realizzazioni artistiche neoespressioniste,tra le quali spiccano accattivanti scene di maternità e in particolare una scultura di notevoli dimensioni raffigurante don chisciotte realizzata nel 1975,ceduta alle terme di Acireale CT nel 93 dove è tuttora collocata,dello stesso periodo la scultura titolata (Biafra)collocata in un centro unicef a Roma,opere che racchiudono una lezione completa di arte moderna.In seguito Maffei si cimenta in mille altre sperimentazioni,con caparbia volontà supera lunghi periodi di indifferenza del territorio e non si arrende all'ignoranza o alla facilità del denaro,legata al periodo in cui rivisita i grandi come Caravaggio & C che ovviamente incontrava il gusto corrente delle masse nostalgiche.Mai intimorito nell'esternare il proprio arbitrio,continua a sperimentare e battere moneta nell'atto creativo dettato dalla necessità di dare concretezza e reale identificazione formale al proprio arbitrio. Dal 90 al 2000 utilizzando in pittura la tecnica del levare scultoreo,estrapola da tele e cartoni,sui variopinti piumaggi di un gallo,ironiche metafore della vita.Dal 1999 ripercorrendo il lungo appassionato apprendistato di ricerca contenente in nuce quanto di recondito vi si nascondeva,quel quid mancante da tempo ricercato si configura al suo occhio attento nel manifesto da lui firmato nel 2002 telemavanguardia,che rappresenterà sul finire del 2004 le fondamenta su cui si regge la premessa delle sue attuali operazioni artistiche e la nascita della nuova corrente artistico culturale da maffei battezzata METAPROSPETTIVISMO................
Mutazioni volumetriche dove l'adozione del principio dei primi piani determina visioni prospettiche scientemente alterate,proponendo immagini costruite da una sorta di calcolo di riduzione esponenziale,come generate da invisibili diaframmi prismatici, capaci di risvegliare nell'osservatore stimolanti circuiti tra inconscio e coscenza.Poliedrico artista qual'è applica questa tematica teorizzata accuratamente in un suo manoscritto (Evoluzione di un idea) nelle sue innumerevoli composizioni poetiche,provocatorie soluzioni di industrial designer e progetti architettonici e soprattutto utilizzando il mezzo a lui più congeniale,la scultura.
Lidia Bazaar

Anonimo ha detto...

Pietro Angelo Maffei
An International message of love and famili values on display in Albany
By JARRETT CARROLL
carrollj@spotlightnew.com
In the United states,featured italian artist P.A.Maffei's work at the grand opening of its new social art Gallery on friday,oct.3 2008
Keith Pickett exsecutive director of FCSCD invited many guest,including Albany Maior Gerald Jennings,Albany County Exsecutive Michael Breslin,Senator Neil Breslin,Paul tonko 21st congressional district candidate,Kile Kotary and Sam Messina are both board members of FCSCD.