A cura di Joan Fontcuberta, Barcelona, ACTAR, [2003]ISBN 84-95273-50-0, pp. 253, € 18,00
Il volume raccoglie i contributi di diversi studiosi, alcuni dei quali presentati al simposio dedicato a The History of Photography Revisited, tenutosi a Barcellona durante la Primavera Fotogràfica, edizione 2000, e offre una serie di interessanti elementi di riflessione intorno alle ragioni e sulle prospettive della ormai lunga stagione di crisi della storiografia fotografica, collocandola – come fa Fontcuberta nell’intervento in apertura – nel più ampio contesto che ne ha segnato la progressiva istituzionalizzazione in conseguenza (e in parallelo) col riconoscimento accademico e collezionistico-museale che ha interessato fotografia e fotografie nel corso degli ultimi decenni del Novecento, ma anche ponendola in relazione con la loro attuale crisi ontologica e materiale. Una crisi di identità che non può che riflettersi e contemporaneamente far riflettere sulla storiografia e sul suo oggetto.
Come accade per molte delle raffinate pubblicazioni di ActAr, la copertina del volume rappresenta un forte elemento di connotazione, costituendo qui l’efficace rappresentazione allegorica del contenuto. L’elaborazione realizzata da Sébastien Loubatié si basa infatti sull’icona patriottico guerresca realizzata da Joe Rosenthal a Iwo Jima, sul Monte Suribachi nel febbraio del 1945, quella stessa cui Clint Eastwood ha recentemente dedicato Flags of Our fathers (2006, come il parallelo Letters from Iwo Jima), traendolo dall’omonimo romanzo di James Bradley, (New York, Bantam Books, 2000), il solo sopravvissuto del gruppo di marines che là issò la prima bandiera USA, fotografata da Lou Lowery.
Sulla copertina del volume curato da Fontcuberta ancora i marines si affannano, ma la bandiera è scomparsa, perduto pare essere lo scopo di tanto sforzo, incerte le ragioni per procedere oltre.
All’arguzia concettuale della soluzione grafica non corrisponde purtroppo un’adeguata cura editoriale, segnata (nell’edizione inglese qui presentata) da traduzioni non sempre efficaci, dalla ripetizione integrale del testo di Carmelo Vega, da note ai testi sovente lasciate in castigliano e da una dovizia di refusi di cui avremmo fatto volentieri a meno, cui si deve aggiungere una bibliografia qualitativamente eterogenea e confusa, priva di accurato vaglio critico: basti pensare che tra i pochi autori italiani è citato anche Giovanni Chiaramonte, The Story of Photography: an illustrated history, New York, Aperture, 1983, di cui ci è nota l’edizione italiana (Milano, Jaca Book, 1983), che certo non rappresenta uno dei migliori esiti della storiografia fotografica del Bel Paese. La riconsiderazione critica della storiografia fotografica e la storiografia della storiografia hanno costituito un tema di ricerca e di riflessione di sempre maggior rilievo negli ultimi decenni (a partire da Towards the New Histories of Photography, Art Institute di Chicago, 1979, agli interventi pubblicati nel volume 21 (n.2, 1997) di “History of Photography” (Anne Mc Cauley, Allison Bertrand), sino ai più recenti contributi di Geoffrey Batchen ( Each Wild Idea, Cambridge, Mass., The MIT Press, 2002).
Così come accadeva sulle pagine di “HoP”, anche questa raccolta di saggi muove – a volte pretestuosamente – dalla critica radicale ma ormai sin troppo ovvia dei canoni stabiliti da Beaumont Newhall e Helmut Gernsheim, utilizzando un tracciato di otto punti offerti alla discussione degli studiosi, invitati ad attuare una ‘decostruzione’ dei diversi discorsi storiografici, così da riuscire a pervenire contestualmente a una ridefinizione della storiografia fotografica ed alla altrettanto difficile delimitazione dell’identità del suo oggetto.
Il contributo di Ian Jeffrey, significativamente posto in apertura, individua il nodo irrisolto di quest’area di studio nella mancanza di una ‘teoria’, di un modello in grado di produrre storia e non ‘archeologia’ o ancora, e più riduttivamente cronologia della fotografia e questa posizione è condivisa da molti degli autori qui raccolti. Penso a Carmelo Vega, che stigmatizza il ricorso diffuso a un “modello di storia della fotografia senza modelli” (75), a Bernardo Riego che definisce il canone Newhall come autarchico e autoreferenziale, mentre Boris Kossoy ne sottolinea l’impostazione episodica, positivistica, irrimediabilmente etnocentrica, segnata da un procedere più prossimo alla botanica che alle scienze sociali; un’impostazione che ha prodotto studi in cui le immagini “sono separate dalle condizioni di produzione che le determinano.” (97)Mentre tutti gli interventi concordano sull’insufficienza e ancor più sull’inadeguatezza degli esempi più noti (perché parlare di crisi sennò?), differenti risultano gli orizzonti metodologici e le prospettive storiografiche richiamate, oscillando tra le posizioni coerentemente benjaminiane di Jeffrey, immerso nelle questioni della riproducibilità e della comunicazione, il quale sostiene che “un’autentica storia del mezzo richiede una teoria dell’inconscio collettivo” (20), e le fascinazioni derridiane cui soggiace Von Amelunxen, convinto che non ci sia “storia della fotografia [che possa] portare a una storia del medium.” (219)
Centrale resta, per tutti, l’imprescindibile necessità di meglio definire l’oggetto di studio. La questione è troppo complessa per poter anche solo essere delineata in questa occasione. Basti pensare alle forti riserve espresse recentemente da André Rouillé sul valore degli apporti strutturalisti e semiotici nella definizione della fotografia, ma anche alla discussione critica in merito ad alcune categorie interpretative come quelle di autore e di opera, di collezione o di archivio che alcuni richiamano anche in queste pagine, con costanti seppur distinti riferimenti alle notissime riflessioni di Rosalind Krauss e quindi alla tradizione foucaultiana.
Si tratterà allora di definire contestualmente l’oggetto, la posizione relativa dello studioso, il suo punto di vista, e l’adozione consapevole della strumentazione intellettuale più adeguata allo scopo, riconoscendo la necessità, più che la semplice possibilità, di costruire diverse “possibili storie” (Régis Durad), poiché “La storia della fotografia è sempre al plurale” (Kunard: 157), ciò che in fondo non dovrebbe né stupire né incutere timore. Tutti i fenomeni complessi necessitano approcci significativamente distinti: penso, per esemplificare, e certo in conseguenza della mia formazione, alle differenti discipline che studiano le diverse forme dell’antropizzazione del territorio, dalla geografia all’architettura.
Aggiornando le posizioni espresse ormai circa 30 anni or sono da Carl Chiarenza, che riconosceva la necessità di una storia integrata del fare immagini, molti degli autori qui presenti concordano sulla prospettiva di una mutazione storiografica che consenta di pensare la storia della fotografia come storia delle immagini (Vega) se non addirittura come “una scienza che non possa essere compresa in alcuna delle discipline umanistiche e possa quindi, come la psicanalisi, essere considerata una metascienza.”(Amelunxen: 222). Se la storia dell’arte e quella della fotografia si devono trasformare in una più generale e problematica storia delle immagini che aspira ad essere una storia, necessariamente culturale, delle rappresentazioni, allora tutti i nostri strumenti analitici e critici andranno ripensati allontanandosi – come già aveva sostenuto Jeffrey anni fa – dai modelli interpretativi mutuati più o meno consapevolmente dalla storiografia artistica. Credo possa essere accolto l’invito, forse la sfida di André Gunthert a verificare la possibilità di pensare una “storia del fotografico”, inserita nel più ampio orizzonte di studi di cui si è detto, guidati dalla consapevolezza etica, e politica, che mai come oggi è indispensabile costruirsi e magari riuscire a fornire gli strumenti per la comprensione di un mondo che sempre più si contempla in un universo di immagini (Siza: 133).Le suggestioni, e le sollecitazioni formulate nei diversi interventi non possono che essere accolte e fruttuosamente meditate, specialmente in un contesto come quello nostrano in cui il dibattito è troppo sovente generico e superficiale, ma contemporaneamente non si può non rilevare come molte delle questioni di metodo qui poste, a volte in modo marcatamente retorico, farebbero sorridere per la loro ingenuità o schematicità qualsiasi giovane storico che si fosse formato in ambiti diversi dalla fotografia. Penso alle perorazioni di Swinnen a favore della necessità di confrontare la fotografia con altre fonti, all’auspicio di Riego che anche questo settore di studi si confronti e faccia propri i più aggiornati paradigmi della storiografia generalista. Tutto ciò costituisce l’indizio certo di una persistente arretratezza specifica del nostro settore di studi, conseguenza evidente della mancanza di qualificati e consolidati percorsi formativi, non solo in Italia, ma anche della complessità dell’oggetto cui ci si applica, dell’inestricabile rete di relazioni di cui vive e di cui innerva i più diversi contesti e ambiti applicativi. La storia di una presenza ingombrante e di un fenomeno complesso, qualcosa di più prossimo per la trama delle relazioni che implica, alla storia dello scrivere che non alla storia dell’arte. Allora, credo, ciò verso cui dovremo tendere, per cui dovremo lavorare non deve essere ‘una’ (tanto meno ‘la’) storia della fotografia, ma più storie distinte, differenti ma non indifferenti tra loro. Che poi queste non debbano né possano più essere concepite e realizzate da un solo autore è ben più che ovvio: è inevitabile.
INDICE DEL VOLUME: Revisiting The Histories of Photography, JOAN FONTCUBERTA; IAN JEFFREY; MARIE- LOUP SOUGEZ; From The “Newhall School” to the “Histories”of Photography. Experiences and Proposals for the Future, BERNARDO RIEGO; Good-Bye, Mr. Newhall , JOSÉ ANTONIO NAVARRETE; Reflections for a New History of Photography, CARMELO VEGA; The History of Photography, a History of Photographies, DANIEL GIRARDIN; Reflections on The History of Photography, BORIS KOSSOY; Writing History “Opening The Cracks” , MOUNIRA KHÉMIR; Uncomfortable Reflections , TERESA SIZA; JOAN NARANJO; The Field of Depth, HENNING STEEN WETTENDORFF; The Mechanical Art: Some Historic Debates on Art and Photography, ANDREA KUNARD; Recycling of Reality: Searching for a Historical Infrastructure from Paradox to Paroxysm, JOHANN SWINNEN; The Instant of History, VINCENT LAVOIE; The Photography of History — The History of Photography. Some Peripheral Observations, HUBERTUS VON AMELUNXEN; Photography Laboratory of a History of Modernity, ANDRÉ GUNTHERT; History of Photography: Selected Bibliography, MARIONA FERNÀNDEZ.
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