A cura di Gianluigi Ricuperati con postfazione di Marco Belpoliti, Milano, Rizzoli, 2006, pp.148ISBN 88-17009-41-5Euro 8,60
La guerra delle immagini in corso ha in palio, tra l’altro, il controllo dell’immaginario globale e vive di assalti frontali e attentati terroristici, tra televisione e giornali, rete, videofonini e fotografie. Le maglie strette del controllo politico mediale devono fare i conti non solo con gli avversari dichiarati, ma con la natura pervicace dei mezzi di comunicazione personale che funzionano in taluni casi come sismografo di una realtà straordinariamente complessa che finisce per parlare all’Occidente dell’Occidente.
È almeno da segnalare un volumetto sull’argomento: agile, con testi essenziali, costruito dalle immagini fotografiche del recente passato di guerra. Curato dal giornalista Gianluigi Ricuperati e con una postfazione di Marco Belpoliti, si intitola Fucked Up, attingendo a una espressione gergale americana che indica tutto ciò che è strafatto, completamente marcio. Se Belpoliti offre un’ampia cornice storico culturale di riferimento, Ricuperati traccia essenzialmente la storia delle immagini pubblicate, l’esperienza proposta, i problemi che ne emergono. Vale la pena riassumerla.
Nel 2003 il cittadino americano Chris Wilson crea un sito pornografico con fotografie amatoriali inviate spontaneamente da anonimi individui. Quando gli Stati Uniti entrano in guerra, Wilson offre ai soldati impegnati in Afghanistan e in Iraq la possibilità di accedere gratuitamente alle sue pagine web, in cambio dell’invio di scatti presi sul campo di battaglia. Dopo pochi mesi colleziona più di un migliaio di fotografie impressionanti. “L’operazione è un successo: in un unico vertice di bisogni e desideri si combinano un patriottismo delirante, la volgarità minimale delle vite al fronte e l’associazione virtuosa fra porno e violenza”. L’operazione va avanti fino a quando la polizia americana chiude il sito e spicca un mandato di cattura per Wilson.
Questa la storia in sintesi. E le immagini del sito? Il dispositivo espositivo ha una sorta di carattere progressivo che valorizza i protagonisti della comunità virtuale. Le fotografie vengono commentate dagli ‘amatori’. Man mano che si va avanti l’orrore diventa più grande. Prima villaggi distrutti, edifici smembrati, le icone del potere rovesciate. Poi donne soldato con i mitragliatori fra le gambe, sequenze di sesso tra graduati. Procedendo, marines che puntano i fucili, iracheni stesi a terra con una pallottola in corpo. Infine, corpi dilaniati dalle bombe, carbonizzati, tenuti insieme da enormi lacci emostatici. Ecco l’occhio che uccide, il mirino del fucile che coincide con il mirino degli apparecchi fotografici digitali in dotazione, la guerra dal punto di vista del grilletto, il trofeo da ostentare dopo la caccia, ma anche la ferita bruciante da infliggere all’occhio che riposa altrove.
Il problema non è quanto siano cattivi i soldati. Provo insieme a Ricuperati a tracciare l’indice delle questioni che pretendono almeno un principio di discussione. Numero uno: il meccanismo in quanto tale, scambiare foto di morte, sofferenza, guerra con foto pornografiche. Numero due: il contenuto scioccante di alcune delle immagini, ovvero la guerra che è orrore distante dalla vita ordinaria come la conosciamo. Numero tre: la maggior parte dei mezzi di informazione degli Stati Uniti non ha dedicato attenzione a una risorsa di informazione selvatica ma interessante come Nowthatsfuckedup e, per estensione, non mi sembra che la stampa italiana abbia discusso più di tanto il volume in oggetto. La questione numero tre rimanda alla quattro e ai fecondi e ramificati legami tra media e potere. Numero quattro: le istituzioni militari e governative americane si sono preoccupate della vicenda Wilson accusandolo paradossalmente di reati contro il comune senso del pudore. Dell’Iraq, della guerra, dei soldati, nemmeno una riga.
Certo è che la raccolta di immagini confluita nei server, contro ogni piacevolezza del politicamente corretto, offre uno sguardo assolutamente interno dell’esperienza ‘guerra’ e uno sguardo assolutamente predatorio nei confronti dell’ambiente ‘Iraq’. Attraversare le pratiche produttive, espressive, sociali, della comunità virtuale che gravita intorno a Fucked up, per quanto possa ferire gli occhi, la pancia, il cuore e la mente, rende un servizio alla conoscenza dello stato delle cose nel nostro tempo.
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